L'Incontro in Puglia, e la Carovana che lo ha preceduto, come era prevedibile, sono stati pieni di emozioni, incontri attesi e inaspettati, stupore e magnificenza. Le immagini lo raccontano bene e le puoi trovare scorrendo il profilo Instagram Rete Tenderosse e nell'album sulla pagina FB Red Tent Day Italia, mentre qui trovi il video che ripercorre le tappe della Carovana.
In queste pagine cominciamo a pubblicare i contenuti emersi nel cerchio del sabato mattina. Il senso dell'Incontro, infatti, oltre ad essere un'occasione di condivisione e festa, è anche la creazione di pensiero. Le donne sono corpi pensanti, sono grembo, cuore e mente, tutto fortemente interconnesso, tutto da coltivare e mostrare con orgoglio. Ecco quindi di seguito il racconto di un cerchio che è stato sorpresa, diffidenza, ritrosia, cautela, accoglienza, riconoscimento, scoperta, reinterpretazione, insomma straordinaria esperienza che ancora lascia una traccia nei passi che ognuna percorre sul proprio sentiero.
Buona lettura.
Il primo incontro a cerchio ha visto la presentazione del libro, in via di pubblicazione, di Giuditta Pellegrini: Sulle tracce della Dea. Un viaggio accattivante fra passato e presente attraverso il Mediterraneo. Prima con una video presentazione e poi con il racconto, Giuditta ci ha condotte verso i luoghi più simbolici della civiltà della Dea Madre, alla ricerca delle nostre radici e di un futuro possibile.
Sulle tracce della Dea narra il viaggio ha portato l’autrice alla scoperta di alcuni dei luoghi chiave della civiltà della Dea a partire dagli studi di Marija Gimbutas: Çatalhöyük, in Anatolia centrale, da molti considerata la prima metropoli al mondo, dove sono stati rinvenuti i reperti fra i più importanti legati al culto della grande Dea; gli stupefacenti templi a forma di corpo di donna di Malta e Gozo costruiti per accogliere attraverso le loro pietre equinozi e solstizi; Simena, affascinante città matrifocale licia della Turchia, sprofondata sotto al mare per un terremoto e ancora visibile fra le acque cristalline e Sejnane, piccolo villaggio berbero tunisino al confine con l’Algeria, dove le donne lavorano la terracotta secondo un metodo ancestrale e con decorazioni che riprendono la simbologia della Dea.
Cosa c’era prima di una storia scandita dalle battaglie e da violenti cambi di scenario; prima della divisione in nuclei separati chiamati famiglie e dell’organizzazione della società in gerarchie e gruppi di potere, sulla base della quale abbiamo modellato la nostra idea di civiltà?
Forse un mondo che era comunità, dove non esisteva prevaricazione e uomini e donne condividevano potere e margine di azione.
Marija Gimbutas ci porge attraverso i suoi studi una nuova prospettiva da cui osservare la storia dell’umanità, chiedendoci di abbandonare i nostri schemi e di sollevare lo sguardo dal ristretto segmento di storia in cui ci troviamo, per aprirci a nuove possibilità di intendere il concetto stesso di civiltà.
E’ con questa ispirazione che nasce “Sulle tracce della Dea”, un viaggio nel grembo della storia, nello spazio e nel tempo, alla ricerca di quel lembo che unisce le nostre radici più antiche con l’oggi e di questo ci ha parlato Giuditta nella prima parte dell’incontro.
Dopo abbiamo lasciato spazio alla condivisione e Angela ci ha portato un forte elemento di approfondimento. Partendo dal presupposto che chi si connette, chi si dedica alla preghiera, chi si fa custode sente, vede, sogna, percepisce la verità, ci ha portato un messaggio dalla Donna di Ostuni, dalla Madre e dalla Figlia. Ci sono sogni che vengono dalle antenate e quando vedi il sogno lo sai che è vero. La parola portata è stata ‘FINALMENTE’. Le due donne sono state sepolte 26.000 anni fa, la madre era incinta. Attualmente sono custodite nel Museo di Ostuni dove le ossa sono state ricomposte ognuna per sé. Finalmente il parto è avvenuto.
Fra le mani delle donne nel cerchio è passata ritualmente una pietra della sepoltura in modo che ognuna potesse personalmente sperimentare la connessione con la Madre e la Figlia. Alcune donne hanno raccontato la precedente esperienza di visione anche traumatica delle ossa nel Museo percepite come “separate”, mentre la visione di Angela porta una prospettiva completamente diversa e illuminante oltre a definire un filo rosso con la Carovana durante la quale la Donna di Ostuni aveva cominciato ad accompagnare i racconti appena entrate in Puglia. Nel sito della sepoltura c’è un calco che le ritrae ancora unite mentre al Museo sono distinte. Le donne anziane devono essere considerate anche da questo punto di vista, essere onorate, riconosciute e che ne venga rispettato l’agio. Siamo tutte Crone e Bambine ed è questa Bambina che, senza nulla togliere alla Madre, può manifestarsi nel dare, amore prima di tutto.
Ognuna ha raccontato la propria esperienza di visita dello scavo e del Museo e il senso di accoglienza che ha contraddistinto ogni gesto di omaggio e riconoscimento. E’ stato anche evidenziato come il senso e la manifestazione della Terra nella Pietra ha rappresentato un filo rosso fra la figura di Medusa e la sua forza pietrificante, in senso anche positivo, e la pietra che viene passata di mano in mano. Sono state raccontate anche le esperienze di manifestazione della Madre e della Figlia in preparazione di questo incontro, con grande gratitudine.
E’ stato richiamato il ricordo di un parto durante il quale il primo pensiero, alla nascita, è stato: “Ora siamo in due”. Il momento di dolore vissuto nel tempio di Mefite da una donna della Carovana e il seguente senso di una nuova nascita che ha trovato compimento nel racconto di Angela. Anche altre hanno sentito l’emozione del ricordo del proprio parto vicino temporalmente al ritrovamento delle donne di Ostuni.
La storia anche dopo 28.000 anni non è qualcosa di statico, di definito per sempre, è qualcosa che si muove, che siamo e che dobbiamo portare a termine. Il fatto che ci vengano attribuite delle qualità o dei difetti come donne non è vero. La storia la dobbiamo cambiare proprio come premessa di una diversa immagine anche di noi. E qui c’è il senso del titolo dell’incontro: Tutta un’altra storia.
E’ emerso che qualcuna, al momento che Angela ha cominciato a parlare, ha sentito un limite nell’ascolto, una difficoltà che è stata chiamata pregiudizio, una resistenza al prendersi, da parte di qualcuna, uno spazio maggiore delle altre per dare peso alla propria esperienza. Per qualcuna è stato un modo di mettere una barriera fra sé, le proprie radici e altre donne, per altre un richiamare ad un’idea di “verità” imposta. Lasciando però che questo spazio diventasse accogliente il livello di comunicazione è cambiato, si è spostato su altre modalità che hanno permesso la percezione di ciò che è autentico e portatore di guarigione.
E’ una continua manifestazione di sincronie in ciò che accade giorno per giorno e nelle nostre vite. Nel cerchio, una cosa che è vissuta come importante e non è stata automatica e spontanea è che non bisogna essere amiche. Possiamo esserlo ma non è necessario per lavorare bene, per condividere intenzioni e interessi, possiamo non essere amiche, possiamo stare col fastidio che questo momento di incarnazione nostro può causare l’una alle altre, non per voler stare “scomode” comunque ma perché sia uno strumento di guarigione. Il senso di libertà di rinegoziare i significati, di osare cambiare il passato, che ci viene descritto come fermo, immutabile, mentre, come nel caso emblematico della Figlia e della Madre, si può applicare anche le nostre vite (e oggi, qui, sembra davvero di chiudere un cerchio anche personale o forse più di uno) ed è anche un grande esempio di esercizio della pazienza.
Bellissimo lavoro di radicamento. Le radici sono importanti non per farci stare ferme, ancorate, ma per avere una base di partenza, riscoprire la storia e con essa ciò che realmente siamo, un riappropriarsi del potere di creare cose nuove.
Si può poi immaginare di parlare di preclusione invece che di pregiudizio. Viene quindi descritta l’esperienza della visita del sito in cui è stata percepita una fortissima energia del luogo, anche da lontano, come se chiamasse.
C’era il calco della Madre, delle incisioni sulle pareti fatte dall’acqua, una bellissima energia, e il fatto di averle separate ha trattenuto dal visitare il Museo perché era percepita come un’intromissione, una forzatura, mentre la nuova visione condivisa oggi risuona moltissimo. L’archeologo che guida gli scavi era presente (come sempre in occasione di tutte le visite raccontate), è stata fatta una celebrazione all’interno ma la sensazione dell’ampiezza dello sguardo all’esterno portava la visione di fuochi, di navi, di un luogo cruciale, un tempio riconosciuto. La percezione è stata confermata da ciò che raccontava l’archeologo riguardo a ritrovamenti di monete di tantissimi luoghi anche molto lontani. Era quindi un luogo nato magari come spazio consacrato, poi trasformato nei secoli. La sensazione più forte era l’ampiezza dello sguardo e che la potenza del luogo sia ancora lì. Sarebbe bello che riprendesse a vivere come luogo sacro.
Quanto al lavoro di Giuditta, è interessante riscoprire i segni che si sono ritrovati nei secoli, sono arrivati ai nostri tempi, come si riescono a manifestare anche in persone che magari non studiano ma, nella loro creatività esprimono qualcosa che è stato sempre autentico e significativo.
C’è una difficoltà che si vive soprattutto in ambienti di attività politica ed è il fatto di poter portare una energia anche spirituale in ciò che si ritiene importante sostenere mentre c’è e si vive una separazione che può far sentire una estraneità, una difficoltà nel comunicare e nel condividere ciò che si sente di importante.
Si tratta di un risveglio circolare che avviene a diversi livelli, da quello della ricerca storica, a quello dell’esperienza personale. Ciò che crea meraviglia è che si vedono accadere tante cose contemporaneamente in tanti luoghi diversi. Ad esempio in uno dei gruppi che una delle partecipanti segue di donne in gravidanza c’è anche una archeologa che è stata invitata ad intervenire su Marjia Gimbutas, cosa che ha fatto in modo sintetico ma poi ha detto che da quanto la ha incontrata la sua vita è totalmente cambiata. Ciò che serve è portare avanti questo cambiamento nel trasmettere, nel farlo passare nel quotidiano perché quella è la radice che può far cambiare le cose. Anche solo le immagini delle Dee circolano sempre più e pur subendo censure muovono in profondità. Forse potrebbe essere utile portare attività di realizzazione di tali immagini (come ad esempio statuette di creta) per dare l’impressione di avere nelle mani, nella memoria del corpo, il senso del messaggio e la sua realizzazione. Vengono citati i libri “Storie della buonanotte per bambine ribelli”, che, pur nell’incompletezza di alcune storie sono un gran mutamento che, è stato raccontato, sono state messe in scena da alcuni gruppi di donne che fanno percorsi di espressione teatrale.
Viene anche condivisa l’esperienza religiosa di chi, fin da piccola, ha sentito estranee regole imposte dalla religione imperante e il senso di libertà e pienezza nel trovare una propria via autentica alla spiritualità.
Riguardo al passaggio di un certo tipo di informazione ai piccoli viene citato un cartone animato, Topotip. Durante un episodio si descrive una lettura simile a quella dei libri già descritti e, in particolare, può essere utile a resistere alla tendenza inculcata ai bambini, già da piccoli, a collegare ogni attività come tipiche di un genere o di un altro.
Una donna ritorna al momento in cui è sono state descritte, quasi scusandosi, le sensazioni di diffidenza, incredulità, sfiducia che hanno accompagnato le prime parole di Angela. Viene richiamata la storia che ci accumuna come donne che è una storia di persecuzione e di negazione. Nel Museo di Santa Giulia di Brescia sono custodite molte sepolture femminili contraddistinte da specchi, lunghe bacchette di vetro, preziose ampolle di vetro soffiato e lunghi spilloni metallici definiti “spiedi”. A parte l’assurdità di portarsi uno spiedo nella tomba insieme a ciò che si considera più caro e prezioso, a parte il fatto che non si sa cosa contenessero le ampolle e non necessariamente si trattava di strumenti di bellezza, sembra più sensato che si trattasse di donne sulla “soglia”, che intervenivano sia per curare che per interrompere la sofferenza di chi era destinato a morire. Tutte queste donne sono state perseguitate e sterminate e chi calca le loro orme non può non sentire il pericolo, non ritrovare dentro di sé la sensazione terribile del tradimento subito o inflitto. Non stupisce quindi che alcune donne scelgano di non parlare delle loro esperienze nel cerchio di donne, di non invitarne altre, di non mostrare pubblicamente la loro scelta e, tantomeno coinvolgere le proprie figlie. Da questo ricordo nasce, comprensibilmente e giustamente, la diffidenza, l’incredulità, la sfiducia, il porre una distanza. Viene riportata l’esperienza delle ragazze che hanno vissuto il “peso” di una madre esposta in questo senso negli anni di scuola in una piccola città di provincia, di quanto sia stato scomodo e di come il bilancio riesca a diventare positivo col senno di poi della fine del percorso scolastico.
Viene descritto il progetto “Le Signore del Gioco” che sta unendo le donne in cerchio in una serie di brevi ritiri di ricerca-azione archetipica che vogliono ri-membrare e dare sane e autentiche parole alle immagini archetipiche che creano e tramandano idee di femminilità che da limiti possono diventare opportunità di conoscenza. Sull’onda della meraviglia portata da Angela possiamo immaginare una conclusione del percorso in Puglia a novembre.
Angela conclude con alcune parole per la mente, l’amata mente. Quando parliamo di queste due, la Madre e la Figlia, possiamo dare parole che possono dare appigli: sono distinte adesso non separate, sono unite non confuse. E’ un insegnamento grande che vale anche per la nostra mente, per tutte le madri e tutte le figlie.
In queste pagine cominciamo a pubblicare i contenuti emersi nel cerchio del sabato mattina. Il senso dell'Incontro, infatti, oltre ad essere un'occasione di condivisione e festa, è anche la creazione di pensiero. Le donne sono corpi pensanti, sono grembo, cuore e mente, tutto fortemente interconnesso, tutto da coltivare e mostrare con orgoglio. Ecco quindi di seguito il racconto di un cerchio che è stato sorpresa, diffidenza, ritrosia, cautela, accoglienza, riconoscimento, scoperta, reinterpretazione, insomma straordinaria esperienza che ancora lascia una traccia nei passi che ognuna percorre sul proprio sentiero.
Buona lettura.
Il primo incontro a cerchio ha visto la presentazione del libro, in via di pubblicazione, di Giuditta Pellegrini: Sulle tracce della Dea. Un viaggio accattivante fra passato e presente attraverso il Mediterraneo. Prima con una video presentazione e poi con il racconto, Giuditta ci ha condotte verso i luoghi più simbolici della civiltà della Dea Madre, alla ricerca delle nostre radici e di un futuro possibile.
Sulle tracce della Dea narra il viaggio ha portato l’autrice alla scoperta di alcuni dei luoghi chiave della civiltà della Dea a partire dagli studi di Marija Gimbutas: Çatalhöyük, in Anatolia centrale, da molti considerata la prima metropoli al mondo, dove sono stati rinvenuti i reperti fra i più importanti legati al culto della grande Dea; gli stupefacenti templi a forma di corpo di donna di Malta e Gozo costruiti per accogliere attraverso le loro pietre equinozi e solstizi; Simena, affascinante città matrifocale licia della Turchia, sprofondata sotto al mare per un terremoto e ancora visibile fra le acque cristalline e Sejnane, piccolo villaggio berbero tunisino al confine con l’Algeria, dove le donne lavorano la terracotta secondo un metodo ancestrale e con decorazioni che riprendono la simbologia della Dea.
Cosa c’era prima di una storia scandita dalle battaglie e da violenti cambi di scenario; prima della divisione in nuclei separati chiamati famiglie e dell’organizzazione della società in gerarchie e gruppi di potere, sulla base della quale abbiamo modellato la nostra idea di civiltà?
Forse un mondo che era comunità, dove non esisteva prevaricazione e uomini e donne condividevano potere e margine di azione.
Marija Gimbutas ci porge attraverso i suoi studi una nuova prospettiva da cui osservare la storia dell’umanità, chiedendoci di abbandonare i nostri schemi e di sollevare lo sguardo dal ristretto segmento di storia in cui ci troviamo, per aprirci a nuove possibilità di intendere il concetto stesso di civiltà.
E’ con questa ispirazione che nasce “Sulle tracce della Dea”, un viaggio nel grembo della storia, nello spazio e nel tempo, alla ricerca di quel lembo che unisce le nostre radici più antiche con l’oggi e di questo ci ha parlato Giuditta nella prima parte dell’incontro.
Dopo abbiamo lasciato spazio alla condivisione e Angela ci ha portato un forte elemento di approfondimento. Partendo dal presupposto che chi si connette, chi si dedica alla preghiera, chi si fa custode sente, vede, sogna, percepisce la verità, ci ha portato un messaggio dalla Donna di Ostuni, dalla Madre e dalla Figlia. Ci sono sogni che vengono dalle antenate e quando vedi il sogno lo sai che è vero. La parola portata è stata ‘FINALMENTE’. Le due donne sono state sepolte 26.000 anni fa, la madre era incinta. Attualmente sono custodite nel Museo di Ostuni dove le ossa sono state ricomposte ognuna per sé. Finalmente il parto è avvenuto.
Fra le mani delle donne nel cerchio è passata ritualmente una pietra della sepoltura in modo che ognuna potesse personalmente sperimentare la connessione con la Madre e la Figlia. Alcune donne hanno raccontato la precedente esperienza di visione anche traumatica delle ossa nel Museo percepite come “separate”, mentre la visione di Angela porta una prospettiva completamente diversa e illuminante oltre a definire un filo rosso con la Carovana durante la quale la Donna di Ostuni aveva cominciato ad accompagnare i racconti appena entrate in Puglia. Nel sito della sepoltura c’è un calco che le ritrae ancora unite mentre al Museo sono distinte. Le donne anziane devono essere considerate anche da questo punto di vista, essere onorate, riconosciute e che ne venga rispettato l’agio. Siamo tutte Crone e Bambine ed è questa Bambina che, senza nulla togliere alla Madre, può manifestarsi nel dare, amore prima di tutto.
Ognuna ha raccontato la propria esperienza di visita dello scavo e del Museo e il senso di accoglienza che ha contraddistinto ogni gesto di omaggio e riconoscimento. E’ stato anche evidenziato come il senso e la manifestazione della Terra nella Pietra ha rappresentato un filo rosso fra la figura di Medusa e la sua forza pietrificante, in senso anche positivo, e la pietra che viene passata di mano in mano. Sono state raccontate anche le esperienze di manifestazione della Madre e della Figlia in preparazione di questo incontro, con grande gratitudine.
E’ stato richiamato il ricordo di un parto durante il quale il primo pensiero, alla nascita, è stato: “Ora siamo in due”. Il momento di dolore vissuto nel tempio di Mefite da una donna della Carovana e il seguente senso di una nuova nascita che ha trovato compimento nel racconto di Angela. Anche altre hanno sentito l’emozione del ricordo del proprio parto vicino temporalmente al ritrovamento delle donne di Ostuni.
La storia anche dopo 28.000 anni non è qualcosa di statico, di definito per sempre, è qualcosa che si muove, che siamo e che dobbiamo portare a termine. Il fatto che ci vengano attribuite delle qualità o dei difetti come donne non è vero. La storia la dobbiamo cambiare proprio come premessa di una diversa immagine anche di noi. E qui c’è il senso del titolo dell’incontro: Tutta un’altra storia.
E’ emerso che qualcuna, al momento che Angela ha cominciato a parlare, ha sentito un limite nell’ascolto, una difficoltà che è stata chiamata pregiudizio, una resistenza al prendersi, da parte di qualcuna, uno spazio maggiore delle altre per dare peso alla propria esperienza. Per qualcuna è stato un modo di mettere una barriera fra sé, le proprie radici e altre donne, per altre un richiamare ad un’idea di “verità” imposta. Lasciando però che questo spazio diventasse accogliente il livello di comunicazione è cambiato, si è spostato su altre modalità che hanno permesso la percezione di ciò che è autentico e portatore di guarigione.
E’ una continua manifestazione di sincronie in ciò che accade giorno per giorno e nelle nostre vite. Nel cerchio, una cosa che è vissuta come importante e non è stata automatica e spontanea è che non bisogna essere amiche. Possiamo esserlo ma non è necessario per lavorare bene, per condividere intenzioni e interessi, possiamo non essere amiche, possiamo stare col fastidio che questo momento di incarnazione nostro può causare l’una alle altre, non per voler stare “scomode” comunque ma perché sia uno strumento di guarigione. Il senso di libertà di rinegoziare i significati, di osare cambiare il passato, che ci viene descritto come fermo, immutabile, mentre, come nel caso emblematico della Figlia e della Madre, si può applicare anche le nostre vite (e oggi, qui, sembra davvero di chiudere un cerchio anche personale o forse più di uno) ed è anche un grande esempio di esercizio della pazienza.
Bellissimo lavoro di radicamento. Le radici sono importanti non per farci stare ferme, ancorate, ma per avere una base di partenza, riscoprire la storia e con essa ciò che realmente siamo, un riappropriarsi del potere di creare cose nuove.
Si può poi immaginare di parlare di preclusione invece che di pregiudizio. Viene quindi descritta l’esperienza della visita del sito in cui è stata percepita una fortissima energia del luogo, anche da lontano, come se chiamasse.
C’era il calco della Madre, delle incisioni sulle pareti fatte dall’acqua, una bellissima energia, e il fatto di averle separate ha trattenuto dal visitare il Museo perché era percepita come un’intromissione, una forzatura, mentre la nuova visione condivisa oggi risuona moltissimo. L’archeologo che guida gli scavi era presente (come sempre in occasione di tutte le visite raccontate), è stata fatta una celebrazione all’interno ma la sensazione dell’ampiezza dello sguardo all’esterno portava la visione di fuochi, di navi, di un luogo cruciale, un tempio riconosciuto. La percezione è stata confermata da ciò che raccontava l’archeologo riguardo a ritrovamenti di monete di tantissimi luoghi anche molto lontani. Era quindi un luogo nato magari come spazio consacrato, poi trasformato nei secoli. La sensazione più forte era l’ampiezza dello sguardo e che la potenza del luogo sia ancora lì. Sarebbe bello che riprendesse a vivere come luogo sacro.
Quanto al lavoro di Giuditta, è interessante riscoprire i segni che si sono ritrovati nei secoli, sono arrivati ai nostri tempi, come si riescono a manifestare anche in persone che magari non studiano ma, nella loro creatività esprimono qualcosa che è stato sempre autentico e significativo.
C’è una difficoltà che si vive soprattutto in ambienti di attività politica ed è il fatto di poter portare una energia anche spirituale in ciò che si ritiene importante sostenere mentre c’è e si vive una separazione che può far sentire una estraneità, una difficoltà nel comunicare e nel condividere ciò che si sente di importante.
Si tratta di un risveglio circolare che avviene a diversi livelli, da quello della ricerca storica, a quello dell’esperienza personale. Ciò che crea meraviglia è che si vedono accadere tante cose contemporaneamente in tanti luoghi diversi. Ad esempio in uno dei gruppi che una delle partecipanti segue di donne in gravidanza c’è anche una archeologa che è stata invitata ad intervenire su Marjia Gimbutas, cosa che ha fatto in modo sintetico ma poi ha detto che da quanto la ha incontrata la sua vita è totalmente cambiata. Ciò che serve è portare avanti questo cambiamento nel trasmettere, nel farlo passare nel quotidiano perché quella è la radice che può far cambiare le cose. Anche solo le immagini delle Dee circolano sempre più e pur subendo censure muovono in profondità. Forse potrebbe essere utile portare attività di realizzazione di tali immagini (come ad esempio statuette di creta) per dare l’impressione di avere nelle mani, nella memoria del corpo, il senso del messaggio e la sua realizzazione. Vengono citati i libri “Storie della buonanotte per bambine ribelli”, che, pur nell’incompletezza di alcune storie sono un gran mutamento che, è stato raccontato, sono state messe in scena da alcuni gruppi di donne che fanno percorsi di espressione teatrale.
Viene anche condivisa l’esperienza religiosa di chi, fin da piccola, ha sentito estranee regole imposte dalla religione imperante e il senso di libertà e pienezza nel trovare una propria via autentica alla spiritualità.
Riguardo al passaggio di un certo tipo di informazione ai piccoli viene citato un cartone animato, Topotip. Durante un episodio si descrive una lettura simile a quella dei libri già descritti e, in particolare, può essere utile a resistere alla tendenza inculcata ai bambini, già da piccoli, a collegare ogni attività come tipiche di un genere o di un altro.
Una donna ritorna al momento in cui è sono state descritte, quasi scusandosi, le sensazioni di diffidenza, incredulità, sfiducia che hanno accompagnato le prime parole di Angela. Viene richiamata la storia che ci accumuna come donne che è una storia di persecuzione e di negazione. Nel Museo di Santa Giulia di Brescia sono custodite molte sepolture femminili contraddistinte da specchi, lunghe bacchette di vetro, preziose ampolle di vetro soffiato e lunghi spilloni metallici definiti “spiedi”. A parte l’assurdità di portarsi uno spiedo nella tomba insieme a ciò che si considera più caro e prezioso, a parte il fatto che non si sa cosa contenessero le ampolle e non necessariamente si trattava di strumenti di bellezza, sembra più sensato che si trattasse di donne sulla “soglia”, che intervenivano sia per curare che per interrompere la sofferenza di chi era destinato a morire. Tutte queste donne sono state perseguitate e sterminate e chi calca le loro orme non può non sentire il pericolo, non ritrovare dentro di sé la sensazione terribile del tradimento subito o inflitto. Non stupisce quindi che alcune donne scelgano di non parlare delle loro esperienze nel cerchio di donne, di non invitarne altre, di non mostrare pubblicamente la loro scelta e, tantomeno coinvolgere le proprie figlie. Da questo ricordo nasce, comprensibilmente e giustamente, la diffidenza, l’incredulità, la sfiducia, il porre una distanza. Viene riportata l’esperienza delle ragazze che hanno vissuto il “peso” di una madre esposta in questo senso negli anni di scuola in una piccola città di provincia, di quanto sia stato scomodo e di come il bilancio riesca a diventare positivo col senno di poi della fine del percorso scolastico.
Viene descritto il progetto “Le Signore del Gioco” che sta unendo le donne in cerchio in una serie di brevi ritiri di ricerca-azione archetipica che vogliono ri-membrare e dare sane e autentiche parole alle immagini archetipiche che creano e tramandano idee di femminilità che da limiti possono diventare opportunità di conoscenza. Sull’onda della meraviglia portata da Angela possiamo immaginare una conclusione del percorso in Puglia a novembre.
Angela conclude con alcune parole per la mente, l’amata mente. Quando parliamo di queste due, la Madre e la Figlia, possiamo dare parole che possono dare appigli: sono distinte adesso non separate, sono unite non confuse. E’ un insegnamento grande che vale anche per la nostra mente, per tutte le madri e tutte le figlie.